Il MUSICISTA DEL RE
(PARTE SECONDA)
Roberto Donghi
RIVELAZIONI DI UNA MASCHERA ALLA LUCE DI UNA CANDELA
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Roberto Donghi
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IL MUSICISTA DEL RE
Roberto Donghi
(prima parte)
Racconto di un Terzo Ufficiale al servizio di Sua Maesta' Britannica.
(PARTE SECONDA)
Roberto Donghi
Fu lei a presentarsi e fu lei ad
invitarmi a cena nella serata successiva. I andai con i miei abiti
migliori, ossia gli unici che possedevo ma tirati a lucido.
La casa della signora de la Riviére
Guyon era molto bella, luminosa,ampia,arieggiata. Dopo i
convenevoli,una cena e discorsi sempre lasciati a metà,
ella,scrutandomi con gli occhi neri che tanto la facevano parere
creatura d’altri mondi,forse dei sogni più remoti, mi insegnò le
arti della seduzione e dell’amore.
Terése de la Riviére Guyon mi diede
tutto di ciò che sapeva.
Entrato dunque nelle sue grazie, sotto
ogni punto di vista, le promisi di tornare la sera successiva e
quella dopo ancora e così via …
Fu lei, che vantava di discendenza
nobile, ad introdurmi nei salotti di alcuni nobili di città. La
musica in me era molto felice di tale conquista, presto sarebbe
tornata a regnare sugli uomini.
Consapevole , però, di non potermi presentare con un solo “Te
Deum” la musica espresse il suo primo desiderio, ossia di ricevere
un’altra composizione.
Fu in una notte insonne e febbricitante
che scrissi “Quando le onde reagiscono”: una composizione
ispirata al mare in tempesta che sentii un tempo dal laboratorio di
mio padre.
Le mie uniche due composizioni
piacquero tanto ai nobili signori che componevano il mio pubblico,
tanto che la signora di Lafayette , padrona del salotto più bello
della città mi invitò a cena la sera successiva.
La serata si svolse come si svolsero le
precedenti in casa de la Riviére Guyon: la cena, più sostanziosa
fu articolata da innumerevoli discorsi che riguardavano la mia
persona, quasi la signora di Lafayette volesse sapere ogni cosa di
me. Da parte sua, il signore di Lafayette che,al contrario della
moglie, era ormai avanzato d’età e sempre serio, si stupiva, o
fingeva di rimaner stupito, d’ogni mio racconto.
Verso le dieci il signore di Lafayette
si congedò con la motivazione di andare ad incontrare alcuni
gentiluomini con i quali avrebbe forse disputato una partita a carte
o alla pallacorda.
Io,imbarazzatissimo, e la signora di Lafayette (la quale aveva dieci anni più di me) rimanemmo soli. E ci
amammo.
Con suo grande disappunto ma sua ampia
comprensione, le visite a Terése si fecero più rare e vennero
sostituite da quelle in casa Lafayette.
Dopotutto fu lei ad introdurmi in
questo mondo.
RIVELAZIONI DI UNA MASCHERA ALLA LUCE DI UNA CANDELA
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Roberto Donghi
Il buio ci mette paura.
Ed e'alla semplice luce d'una candela che troviamo sicurezza nell'oscurita' che ci circonda.
Epppure, alla fioca luce di tale candela ci sentiamo osservati, avete mai provato? Ma osservati da chi?
E perche' solo alla luce della candela, che lascia pur sempre delle ombre, e non alla chiara luce elettrica?
Perche' la candela emana una luce semplice e la semplicita', in un mondo superficiale, ci disarma.
Non conosciamo piu' la semplicita', di conseguenza, ogni qual volta la incontriamo, ci spaventa, ci chiediamo chi sia.
Ora, alla luce della candela, anche io ho paura. Ho paura di me, della mia ombra, dei miei pensieri , del mio passato.
Cos'e'? Chi e' la mia ombra? Cio' che sarei in un'altra dimensione? Cio' a cui mi ridurro' un giorno?
O il mio angelo custode?
L'ombra e' cosi' pedinatrice, cosi' ossessiva da non meritar nemmeno di rivolgerle la parola, mai alcuna attenzione: se ci difendesse dal pericolo, noi non ce ne accorgeremmo.
I miei pensieri, invece, mi portano lontano, troppo lontano: essi si fondono con il passato ricordando giorni, evocando volti. Perche' ci spaventano?
Nel momento in cui scrivo, la mia ombra, il mio angelo, mi protegge dai piu' intimi mostri del fallimento, da me stesso: per quanto resistera'? Ultimo baluardo del mio "Io", resisterai tu?
Non lo so: occorre fare in fretta. Allora perche' ci spaventa tutto cio'?
Non lo so. Ma se lo chiedo a voi e' perche' spaventano anche me.
La candela finisce la fioca e tenue luce, si affievolisce giungendo al termine della sua vita.
Cala l'ombra ed io divengo parte dell'oscurita', mi ci confondo.
Non ho piu' paura.
La paura e' la mia diversita' alla luce del giorno.
O di una debole candela.
O di una debole candela.
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IL MUSICISTA DEL RE
Roberto Donghi
(prima parte)
Sono nato il giorno di grazia divina
(come i re,eccetto che per le costituzioni, ammesso che i re le
abbiano) 16 Febbraio nel castello di… che importanza ha dirvelo? Quel luogo ormai è andato distrutto.
Dicevo nato da un padre carpentiere ed una madre che non svolgeva una precisa mansione, bensì diverse che cambiavano nel tempo, passando da balia ai pupilli di qualche nobile famiglia a, come scoprii in seguito, amante di qualche ricco signore di campagna.
Dicevo nato da un padre carpentiere ed una madre che non svolgeva una precisa mansione, bensì diverse che cambiavano nel tempo, passando da balia ai pupilli di qualche nobile famiglia a, come scoprii in seguito, amante di qualche ricco signore di campagna.
A mio padre la cosa non interessava più
di tanto, giacché l’uomo alla quale si concedeva sua moglie offriva alla nostra famiglia, se così si poteva chiamare, ogni tipo
di favore, permettendo a noi una vita agiata ed a lui fondi per
invenzioni e progetti. Così mio padre, in breve tempo, acquistò un
buon laboratorio, ricevendo ingaggi anche da signori vicini alla
corte.
Fu così che crebbi con una visione
distorta dell’amore, distorta almeno per i canoni che la gente si
prefigge di solito.
Non sono mai stato un buono studente
(si studiava anche nel mio tempo): in una nazione di professori,
riuscivo pur’io professore nelle materie che più mi
interessavano,quali la storia, la letteratura, la geografia e la
grammatica, ma , con umiltà mi ponevo da parte quando la mente umana
degenerava in quel guazzabuglio di idee senza criterio e ragion
d’esistere quali furono,sono e saranno la matematica e la scienza.
Ho sempre creduto che l’aspirazione
massima d’un professore, doveva essere quella di venir chiamato
maestro. Ma come già dissi in precedenza,di professori nella mia
nazione,ce ne sono tanti, troppi… Tutti.
Dicevo dunque, ch’ero io stesso
professore nella storia, la letteratura, la geografia (per quanto
fosse sviluppata al mio tempo) e la grammatica e … come dite? La
Musica? Non sono mai stato un musicista, io. Non scherzate, non
ridete ve ne prego. E’ vero fui il migliore nel suonare il flauto,
se non il migliore uno dei migliori e, sicuro d’esser musicista, mi
gettai su di un liuto che trovai nascosto ed impolverato in un
angolino del laboratorio di mio padre. Ma il liuto era ben diverso da
un semplice flauto a fiato e, di conseguenza, dopo un anno di
tentativi falliti, lo riposi nel luogo ove l’avevo trovato.
Due anni dopo, però, mi ricordai di
lui e decisi di andare a trovarlo. Portai un panno con me, perché si
sa, non è mai un bene andar di visita senza un qualcosa in mano.
Aprii la porta di casa sua,ossia del laboratorio, ed entrai piano per
non allarmarlo. Appena mi fui avvicinato, egli si destò:era molto
invecchiato, una barba bianca di polvere gli contornava il pallido
volto.
Mi scrutò con curiosità, cercando dei
ricordi a me legati nella sua lignea memoria. Una volta scavati tali
ricordi, nascosti tra una corda od un suono o l’altro, spalancò
gioioso gli occhi. Per mio conto, feci un profondo inchino,
togliendomi il tricorno. Lo presi in braccio e gli mostrai il panno:
il regalo fu molto gradito giacché i suoi occhi luccicavano di
lacrime.
Una volta pulito, prese a guardarmi ed
io lo guardai:”Si”gli dissi “ti suonerò ancora nobile amico,
ma non ti prometto sinfonie magiche e scioglievoli sulle mie dita,
bensì lente note d’apprendimento ”. il liuto accettò
festoso.
Di lì a qualche settimana,imparai i
primi accordi di alcune opere del signore musicista di corte Lulli ed
acquistai un quaderno rosso nel quale annotai ogni cosa. Fu rosso il
quaderno e non nero o blu, perché sentii narrare di un signore, tale
di Saint Colombe, che tanto aveva dato alla musica quanto alla vita,
che fu maestro del signor di Marais a sua volta musicista al servizio
del signore di Lulli, che ne ebbe uno di identico colore e lo
E fu a due anni di distanza da quel
quaderno rosso che, tra una nota e l’altra, composi,con il solo
aiuto del mio amico liuto il mio “Te Deum”.
“Dunque siete un musicista”
penserete voi, eppure no, vi rispondo io perché mai capii la musica.
Fu la musica a capire me: essa, dopo avermi a lungo osservato trasse
la seguente conclusione: la mia persona sarebbe stata un fertile
terreno per la diffusione, propagazione,procreazione. Un luogo nel
quale la musica si sarebbe tramandata, senza andare a morire con il
corpo degli ultimi musicisti,musichi o musichieri rimasti.
Si da il caso, e lo dico privo d’ogni
superbia, che la signora musica ben scelse il suo fertile terreno di
propagazione, giacché la mia persona ed il suo aspetto sono
considerati di buona fattura, quindi abbastanza attraenti per far si
che qualche bella e, magari, nobile signora,ne venisse sedotta.
Non tardò molto tempo:ciò avvenne.
Durante una prova in casa di un amico
che accompagnava il mio “ Te Deum”, entrò una certa signora de
la Riviére Guyon ti nome Terése, la quale, ascoltando di nascosto
l’opera mia, rimase estasiata e stupefatta, tanto da raccomandarsi
al mio amico affinché la conoscessi. Ciò accadde la settimana
successiva al termine d’una seconda prova...
Continua in settimana....
Racconto di un Terzo Ufficiale al servizio di Sua Maesta' Britannica.
Roberto Donghi
Era da poco tornato a Londra, sbarcando ai Docklands in prossimita' dei verdi prati di Greenwich.
S'aggirava passeggiando per i viali alberati voluti dal Re, un giovane ufficiale di marina: il vento frusciava dolce nel mese di Marzo ed il sole splendeva a tratti coperto dalle leggiadre nuvole.
Il suo animo malinconico e nostalgico si rifletteva nella nascita del nuovo sole rimpiangendo il passato inverno ma sospirando di gioia per la neo-rinata primavera. Passeggiava con sottobraccio il suo poco bagaglio: due libri stranieri uno era forse prussiano o austriaco.."Werther" scritto da un tale signor "Gota" lo pronunciava l'altro .. l'altro consisteva in una raccolta di poesie narranti del mare e del Cielo, delle nuvole e del sale, scritte di suo pugno.
Era una locanda con camere in affitto: scelse quella che dava sul Tamigi, sul mare, sulla sua nave.
Passo' maggior parte del tempo a sua disposizione immobile innanzi alla finestra malconcia, ai vetri, in parte, sorretti senza stucco, fissando le acque che rispecchiavano il Cielo: come scorrevano veloci e dolci quei flutti!
Come carezzavano il vigoroso e forte legno della "sua" nave!
No... non era sua, ma era una bella nave, una fregata veloce, elegante, che amava. La immaginava gia', correndo con la fantasia, solcare le onde, sfidare il mare che, gioioso, infrangeva le sue spume sulla sua prora, inondando di sale le vele, il cassero, gli uomini.
La immaginava gia' come il giorno dopo.
Il giorno dopo? Perche' tanta fretta si salpare? Era il suo primo giorno a terra dopo un mese passato tra le peggiori intemperie dell'Oceano Atlantico francese, avrebbe potuto far visita alla sua amata Lady Lowell che abitava non lontano dalla sua nuova e momentanea dimora.
Voleva salpare. Quasi un compito inconsciamente assegnatoli lo obbligasse a lasciare la futilita' (per quanto un amore possa esser tale) per riprendere il mare.
Il mattino seguente, al terzo rintocco della campana, era gia' sul ponte. Terzo ufficiale su di una fregata da trenta cannoni, direzione Portsmouth.
A Portsmouth venne ordinata l'immediata partenza per una piccola isola coloniale del mar dei Caraibi che, a quanto pareva dai rapporti, era stata attaccata piu' volte dai corsari francesi.
Due settimane dopo la nave attraccava nella piccola baia tropicale che fungeva da porto. L'equipaggio venne suddiviso in due gruppi: il primo a bordo della nave ed il secondo, di dimensioni ridotte, a terra, sui bastioni ed alle batterie di difesa.
I giorni passavano placidi e sonnolenti e dei corsari non s'era avvistata nemmeno l'ombra.
Al calore dl Sole tropicale, il nostro seguitava a comporre poesie pensando alla Madre Patria, al vento che lo colse sulle banchine del porto di Londra, alla primavera che, dolce, incalzava sul Regno, magari, chissa', baciando le guance giovani della sua amata uscita per una passeggiata sui moli. Scrutando il mare e pensando a lui.
Passo' un' altra settimana e dei pirati non si sapeva ancora nulla.
Tra la ciurma si iniziava a pensare che fosse tutta una farsa basata su notizie infondate anzi, magari volutamente infondate: chi poteva sapere se, in quell'istante, la flotta francese non stesse approfittando della mancata sorveglianza delle sue coste, per uscire allo scoperto ed invadere l'Inghilterra?
V'erano altri navi, e' vero.. ma.. se fossero state mandate anch'esse in giro per i mari?
Una sera, passate due settimane dal loro arrivo, il giovane ufficiale venne mandato a terra, per sostituire nel comando delle batterie difensive il secondo ufficiale, ammalatosi per il gran caldo.

- Nulla di grave - gli spiegarono al molo riferendosi al secondo - Prenderete il comando al terzo rintocco: ora v'e' il governatore a vigilare -.
Si sistemo' in una casupola, cercando di prender sonno. Ma il sonno non veniva.
Decise, dunque, di scrivere alla sua amata una lettera, la lettera. In essa riverso' fiumi e laghi di inchiostro, mari ed oceani neri sui quali riverso' tutto il suo amore per quella magnifica creatura. Scriveva curvo ed affannato, facendosi ombra sul foglio, alla fioca luce di un solo lume.
Terminata quella lettera che mai aveva scritto prima, si lascio' scivolare sulla sedia, unica comodita' in quello spoglio giaciglio.
- I corsari... - penso' alzando la mano per poi farla ricadere sulla gamba - I corsari dove sono? E' da tempo che li attendiamo.. I corsari.. - sospiro' di nuovo - E' chiaro ormai che e' solo una bugia -.
Suono' il terzo rintocco della campana: iniziava il suo turno di guardia.
Si strinse la fascia nera al collo, prese il suo cannocchiale, dono di suo padre, s'assicuro'' il cappello ed usci'.
Percorse rapidamente il molo, tenendosi vicino alla muraglia che lo avrebbe ospitato. Sali' la prima parte degli scalini che davano sul mare, si fermo' un momento a guardare la Luna: come correvano veloci le nuvole sotto di essa!
Spari'.
Lo schianto di un'onda piu' forte delle altre lo riporto' alla realta'.
Si volto' e riprese il suo salire la scalinata, concedendo l'ultimo sguardo alle stelle, al mare.
La notte era nera e fredda, all'orizzonte non si poteva scorgere la linea infinita che separa mare e cielo. Erano davvero separati mare e cielo? non potevano esse fusi in quell'immensita' di buio?
D'un tratto, uno squarcio di luce sorprese la sua quiete: - Un lampo- penso'.
Subito dopo, il tuono.
L'ufficiale giaceva a terra in una pozza di sangue mista all'uniforme, orribilmente mutilato e morto.
-Bordata!- grido' una vedetta.
IL CAVALIERE NEL BOSCO
Roberto Donghi
"Ricerca di Dio...
Con un finale Wagneriano"
Andrea Sciffo
Nelle foreste del Nord, innevate e pure, viveva un cavaliere dall'armatura bianca e dal mantello nero.
Cavalcava a lungo ai margini del bosco, in sella al suo destriero, bianco anch'esso, e si allenava con la spada, con la lancia: improvvisando giostre contro tronchi morti o rami semi-caduti. E voleva imparare a resistere al freddo.
Un giorno, quando il sole debole e freddo volgeva al tramonto, si fermo', stanco, sedendosi su di una roccia coperta di muschi: esausto ed affannato a causa degli esercizi di spada: prese la sacca e bevve del vino.
Dopo alcuni tempi, la testa gli inizio' a girare un poco, a picchiare: colpa dell'escursione termica interna al corpo. Volse lo sguardo al Cielo, il volto coperto di sudore e decise di togliersi l'elmo, di allentarsi la sciarpa che gli copriva la gola. Punto' il suo sguardo nel mezzo del bosco e fu li' che vide muoversi una figura. Come dispersa.
Stropiccio' gli occhi e guardo' meglio: era una donna: una donna nel bosco.
Era avvolta in una tunica bianca, leggerissima. I capelli, una cascata d'oro, gli ricadevano sulle bianchissime spalle, gli occhi azzurri collegati da un fine e sottilissimo piccolo naso alla rosse labbra, avrebbero sciolto il piu' duro e grande dei ghiacciai.
Il cavaliere s'alzo', barcollando per l'emozione della visione, l'incredulita' ed il brillio del vino: s'incammino' verso la sua visione.
Cammino' e cammino': gli pareva d'aver percorso chilometri senza esser mai riuscito a raggiungerla. In un breve sprazzo di lucidita', la sua mente gli suggeri' di abbandonare l'inseguimento; era sicuramente ubriaco, si disse, e quell'essere per meta' dea, per meta' illusione, era sicuramente un altro tiro di Freia.
Torno' al suo castello e venne notte.
Volse il giorno e torno' ai margini del bosco. Come il di' precedente, l'allenamento d'arme lo lascio' ridotto ad uno straccio. Bevve altro vino. Nello stesso istante in cui il Sole occupava la medesima posizione del giorno prima, la bianca dama apparve. Il nostro volle raggiungerla ed offrirle i suoi servigi, ma anche questa volta, come la precedente, un barlume di ragione gli fece voltare i tacchi: indispettito dall'indifferenza della dama e dalla sua stupidita' nel credere alla sua esistenza.
Torno' al suo castello e, ancora, calo' la notte.
Di nuovo fu giorno e torno' nel solito luogo. Lungo il cammino, pero', maturo' la decisione di non allenarsi negli esercizi di cavalleria, ma di attendere la solita ora. Volutamente lascio' la sacca del vino nelle scuderie.
Il Sole fece il suo giro, e lui attese la resa dei conti tra la sua mente ed i suoi sentimenti primitivi.
Alla solita ora, la visione si ripresento', ma questa volta il cavaliere sapeva di essere lucidissimo. Lascio' la spada e lo scudo: non sarebbero serviti contro una donna, e si incammino'.
Cammino' e cammino', ma per quanto s'avvicinasse, la dama s'allontanava. Giunse al principio del bosco: i rami erano troppo bassi e fitti per consentire al pennacchio dell'elmo di non sfibrarsi, cosi' lascio' anche quello. Come lascio', d'altronde, il mantello, troppo facile lasciarlo impigliare e strapparlo.
S'addentro' fino a non vedere piu' i margini della boscaglia ed inizio' a far buio.
Ma era troppo tardi per tornare indietro.
La dama d'un tratto, credendo che il suo cavaliere stesse per sfuggirgli, si giro' e gli sorrise.
Ingagliardito da tale invito, riprese il cammino. La stanchezza inizio' a farsi sentire, il terreno era molto impervio: era solo all'inizio del suo percorso. Mano a mano che s'addentrava, il destreggiarsi nel bosco diveniva sempre piu' difficile. Ma incredibilmente riusci' ad arrivare, sporco, affannatissimo, al centro del bosco. Nel suo cuore.
Sotto il peso dell'armatura, il cavaliere a stento si reggeva in piedi.
Giunse, quindi, al centro di tutto, ad una radura circolare, nel centro del bosco. Li la dama l'attendeva sull'unica roccia presente. Un fossato colmo d'acqua cristallina lo separava dalla fine della sua ricerca.
Decise di togliersi l'armatura, o sarebbe affogato.
Fece a nuoto quei pochi metri: poche bracciate che gli donarono una sensazione di purezza, quasi paressero le acque delle carezze. Come se fosse coccolato. Nel suo inconscio si scateno' una gioia libera, senza pari, senza spiegazione.
Si trovo', quindi privo d'ogni veste innanzi alla dama bianca. Spontaneamente s'inginocchio'.
La dama alzo' lentamente, con grazia, la bianchissima mano.
La porto' poi al laccio della tunica e la lascio' scivolare su quel corpo perfetto. Immediatamente, non appena la veste tocco' con leggiadria la roccia nuda, un'immensa luce abbagliante, piu' forte del Sole, inondo' la radura e sommerse, investi' il cavaliere.
A quel punto, un immenso fuoco s'appicco' tra gli arbusti ai piedi del nostro. Che ne fu colpito.
Non sentiva la sua pelle bruciare: sentiva un lieve tepore, di quelli semplici, rassicuranti, dolci.
Poco dopo il fuoco cesso': il cavaliere s'alzo' e s'incammino', senza timore o preoccupazione alcuna, verso la dama. Questa gli porse la mano, lo tiro' a se e lo bacio'.
Un immenso sprazzo di Luce squarcio' le tenebre della notte, le sue nubi, i suoi misteri che tanto schiavizzano le menti. La dama sali' in quel Cielo puro, accompagnata dal nuovo cavaliere: purificato e saggio.
--------------------------------- note ---------------------------------
Il cavaliere e' un uomo, predestinato, di coraggio e lealta', ma tale coraggio non e' abbastanza audace, forte, da permettergli di spingersi fino alla verita', che vede ogni giorno, che spia dai limiti del bosco e che lo portera', inesorabilmente, sempre piu' lontano dal suo mondo.
La dama e' un angelo, una divinita', quindi la Verita' che ama e salva colui che la ricerca e che decide di seguire.
Non amerebbe colui che non la trova: ma questo fa parte de “Il borghese”.
Lo scudo e la spada rappresentano tutto cio' che serve per attaccare e difendersi un qualsiasi essere umano. E' sinonimo di inadattabilita' alla vita, alla bellezza ed all'inferiorita'.
Con cio' non si abbia una visione pacifista, bensi' di inutile spreco.
Il mantello bianco e' un riparo: la casa, alla quale tutti torniamo e dalla quale nessuno impara mai a separarsi, fino al momento in cui la si vede d'intalcio. E' sinonimo di una sicurezza infantile.
L'elmo e' anch'egli sinonimo di protezione e di troppo attaccamento alla bellezza materiale.
L'armatura e' il corpo: il cavaliere sceglie infine di lasciarlo per proseguire con l'anima che e' cosa ben piu' forte, potente e pura.
Il bosco e' il mondo sconosciuto, nel quale s'insinuano le piu' lontane verita'.
I luoghi fuori dal bosco, o ai suoi margini rappresentano la vicinanza della realta'. Vicinanza che in pochi colmano.
L'acqua cristallina del fossato e' una via per la purificazione.
Il fuoco e' la purificazione.
Lo squarcio di Luce e' il Paradiso. Luogo di totale sapienza, verita', purezza e bellezza.
IL MATRIMONIO DI SAN PIETRO
"<<Il matrimonio di San Pietro>> e' una canzone scritta nel 2011.
Vi ho immaginato il mio paese: Seveso, il mio quartiere: San Pietro, alla meta' o alla fine, degli anni '20, quando signori e contadini festeggiavano insieme con semplicita' ed amore."
Roberto Donghi, 16/10/2012
Non v'e' storia qui di morte
Sol delle vie di nostra sorte
Ecco il Sol della mattina
Fa pennello alla divisa
E la toga ch'ormai sparsa
Dell'Apollo chiaro e bello
Dalla cetra al campanile
Vanno i cavalli dal fienile
Dolce isposa di San Pietro
Da gittar nel Maggio bello
Delle rose rosse in fiore
Sboccia'n tutto il catinello
Della banda il menestrello
Del coltel di sangue sacro
Dal bel Ciel al simulacro
Ave Patria del tuo io
Volgo al borgo in tutta piazza
Con sementa in Primavera
Brillan or le verdi foglie
Son le luci in mille voglie
Di speranza mai ch'e' persa
Di doman futuro e chiaro
S'ode il credo del mannaio
Ave sangue del carnaio
Saltan su da lignee porte
In dal fiume va l'ebrezza
Il profum, forse l'ebrezza
Delle gocce d'insubriezza
E il vestito dell'isposa
Fa da fame alla marea
Ave sal della spumera
Ave amor che dolce spera
Odor aspro di barbera
Va cantando in allegria
Son sorrisi in sulle labbra
Anche di chi e' in signoria
Volgo intona la canzone
Mentre dolce scende sera
Ave nido in Primavera
Ave padre in tuba nera
Van saltando in dolci frasche
Bamb'in scarpe da fanghiglia
Odi il richiam della Famiglia
Quasi un sogno in conchiglia
Col dolce vin gia' viene sera
E' del prior che beve e spera
Fugge l'uom ogni chimera
Son pensieri in allegria
Tornan tutti ai lor portoni
Il volgo marcia ai suoi cantoni
Resta in aria la freschezza
D'una notte d'insubriezza
Per gli sposi notte d'amore
Per San Pietro batte il cuore
Or finisce la canzone
Ave buon mio ascoltatore
Ave Patria del mio Io
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